martedì 31 agosto 2010

Riflessioni in tema antropologico-culturale #1

Non voglio che i miei nipoti e pronipoti vivano in un paese in gran parte musulmano, in cui si parla prevalentemente turco e arabo, dove le donne portano il velo e il ritmo della giornata è scandito dai muezzin. Se voglio questo, posso prenotare una vacanza in Oriente.
Ci preoccupiamo del clima del mondo tra 100 o 500 anni. Perché dovremmo essere interessati al clima tra 500 anni, quando il programma tedesco per l’immigrazione sta lavorando per l’estinzione dei tedeschi?
Parlare con gli immigrati turchi di terza generazione non vuol dire parlare davvero il tedesco, c’è una ostilità verso l’integrazione ben precisa. Ma perché, ci si chiede, si osservano queste difficoltà mentre in quasi tutti gli altri gruppi di immigrati non c’è questo problema? Tutto ciò è stato trascurato per troppo tempo, l’invecchiamento e la diminuzione della popolazione tedesca vanno di pari passo con i cambiamenti qualitativi nella sua composizione. Il continuo aumento dei meno forti e dei meno intelligenti renderà meno forte il futuro della Germania. È inevitabile che la Germania sarà più piccola e più povera.

Domanda: Perché queste dichiarazioni hanno creato tante polemiche?

Una mia prima risposta, quasi a freddo, sarebbe: Perché implica che un processo di immigrazione significhi la morte della cultura ospitante. Inoltre, presume che le "attitudini culturali" siano fisse e immutabili, e non è per niente così. In genere, chi afferma questo e muove campagne di lotta al riguardo è nel 90% un bugiardo che sa di esserlo, ma che tira le fila del movimento per interessi economico-politici mascherati da rivendicazioni culturali. Questo ovviamente non significa che queste affermazioni non possano essere "sincere". Molto probabilmente lo sono, però mi piace ricordare che in quest'epoca che chiamiamo "della globalizzazione" le questioni sociali si intersecano ancora di più con le questioni politiche. E non solo stando all'interno degli stessi gruppi coinvolti, anche dei singoli casi, ma anche all'esterno. In una società le parti sono interconnesse per natura, e in queste questioni sono interconnesse a doppio filo.

Alla mia prima risposta ho sentito rispondere:
Perché implichi che proteggere una cultura nasconda per forza qualcosa, una specie di società segreta? conda per forza qualcosa, una specie di società segreta?
Ma non c'è nessuna "società segreta". Un esempio, raccontato molto rozzamente e senza perizia: la padania e la Lega Nord. Non esiste una "cultura padana", storicamente. Eppure, i leghisti più "puri" (o, per meglio dire, più ideologicamente alti: andando più terra-terra o semplicemente nella Brianza vediamo, detto in breve, una semplice lotta per la qualificazione del territorio) propugnano la loro lotta usando la "cultura padana" come motivazione e guida.

In questo caso una motivazione di rivendicazione culturale altro non è che una lotta politica. Leggiamo qualcosa di Fredrik Barth, per chiarirci le idee. È la base, secondo me, di un qualsiasi ragionamento sulle "lotte" e "rivendicazioni": cioè che nel seguirle dall'esterno ci dimentichiamo completamente dell'esistenza di giochi di potere all'interno della cultura/movimento. E questa è una cosa fondamentale. Quando parliamo delle "dichiarazioni dei musulmani" non facciamo caso al fatto che certe dichiarazioni non sono emesse in modo plebiscitario dall'intera comunità musulmana di un paese, di una città, di una nazione o del mondo; ma semplicemente da chi in quella data situazione in quel dato momento temporale, ha il potere per far giungere un messaggio con la forza e la capillarità desiderata.

Altre risposte potrebbero essere
Non è ipocrita? Se uno vuole rivendicare il suo diritto di essere arabo in terra straniera va bene e c'è da capirlo, se uno dice che la sua cultura d'origine europea sta morendo allora è un sordido nazista mosso da poteri occulti.
Non si sa perché ma qualsiasi vagito identitario proveniente dall'Europa viene etichettato negativamente.
La prima frase è un dilemma nel quale cadono molti giovani commentatori di sinistra, secondo me. La verità secondo me sta tutta nella stratificazione delle lotte di potere che definiscono l'emergere di una rivendicazione come paravento o giustificazione morale di "altro".

La seconda frase secondo me altro non è che l'effetto - per me benevolo - degli studi sull' uso politico della Storia. Certo, forse agli "scienziati sociali" o aspiranti tali (tipo il sottoscritto) si profila un'era di paranoie.


E ancora

E che ci sia una volontà di non-integrazione da parte dei musulmani lo vogliamo prendere in considerazione o no?
Domanda fatale: Ogni singolo musulmano? E, dato che mi piace molto provocare passando per paralleli, abbiamo mai pensato alla situazione opposta? "Noi", o per meglio dire tu o me, vogliamo che "loro" si integrino? E che significa "integrare", a proposito? Assimilare? E chi assimila chi? Integrare? Ma allora non siamo né italiani né stranieri? Allora a questo punto le diatribe sull'integrazione perdono di senso!

Io credo che la verità stia un po' nel mezzo. L'integrazione migliore è forse quella situazione nella quale non ci si rende conto di avere a che fare con persone aliene a noi. E l'alieno di oggi è il musulmano, e l'alieno di ieri era il siciliano, e l'alieno di domani...
C'è una sostanziale quantità di musulmani che non vogliono imparare la lingua del paese ospitante e che sovente fanno opera di diffusione della Sharia
Una piccola raffica:
C'è una sostanziale quantità di musulmani
Definiamo "sostanziale".
che non vogliono imparare la lingua del paese ospitante
Sapeste quanti italiani e americani ho visto (sarò onesto: più spesso, sentito dire) "non" farlo, mentre risiedevano all'estero! Per gli americani ho più indizi personali per motivi di lavoro, ma non oso generalizzare.
e che sovente
Abbiamo contato ogni singolo caso? Sappiamo per certo che ogni musulmano in italia segue la sharia?

A me non importa che questo sia vero o falso: il punto è che dubito molto che ogni singolo musulmano, supponiamo nordafricano - ovvero un individuo non dissimile da un italiano cattolico o da un russo ortodosso per quanto riguarda l'universale umanità che ci caratterizza in quanto entrami Homo Sapiens - ragioni in questo modo. Invece, per farla in breve (l'ora è tarda), "noi" individui, i cosiddetti "gruppi di influenza ora al potere" (ricordiamoci che la nostra rielaborazione personale altro non è che rielaborazione di input che sono output di [mass] media, e altro*), etcetera, ragioniamo con una logica che in soldoni è "fare di un'erba un fascio". Forse, molto rozzamente, è questo il problema basilare nelle relazioni tra persone, gruppi, società - andando a salire.


* È un discorso molto complesso, che non affronterò qui


2010 Roland - Étienne


martedì 24 agosto 2010

Ermeteuse, #1


Sopra la casa di Ermeteuse, c'era un'antenna. Non la semplice asta di ferro che raramente faceva capolino sui fragili tetti delle case in tufo che sottostavano al piccolo promontorio dove si ergeva la pur modesta casa di Ermeteuse: la sua antenna era una torre alta dieci metri, un intrico di cavi e travi in metallo che si accastellavano a formare quello che era l'edificio più alto che il villaggio di Mimeme avesse mai visto nei suoi quarant'anni di storia.

Questa antenna era insieme l'orgoglio e lo spauracchio degli abitanti del villaggio: grazie a lei arrivavano spesso camion dell'Esercito ricchi di provviste che i soldati donavano alla povera popolazione del posto; ma insieme temevano che un giorno il Nemico scoprisse la grande mano in metallo che Ermeteuse agitava nell'etere, in cerca della sua Voce.

Perché a questo serviva quella torre, con tutti i suoi cavi e tutte le sue antenne di forma inusitata e ormai dimenticata: captava nell'aria le segretissime trasmissioni cifrate del Nemico, e se già questo si era visto nei secoli che precedettero la Guerra, era grazie a Ermeteuse che tutto poteva funzionare. Il rapporto tra Ermeteuse e l'antenna era diretto, mediato solo dalla complessa interfaccia neurale che copriva spesso il cranio del giovane. La natura della tecnologia usata dal giovane era quasi sconosciuta allo stesso Esercito: come unico tecnico e utilizzatore della complessa struttura, relitto ancora funzionante di chissà quale ormai antica tecnologia pre-Guerra, egli aveva fortissima influenza sull'Esercito.

Ermeteuse afferrava la Voce del Nemico, la ascoltava e decifrava, e ne offriva il contenuto all'Esercito; in cambio, l'Esercito si teneva lontano dal villaggio di Mimeme e dalle sue vicinanze, e offriva cibo e manutenzione delle scalcinate macchine dissalatrici.